Tfr lasciato in azienda? Negli ultimi 10 anni ha reso in media il 2,4%, in linea con il valore medio netto realizzato nei venti anni compresi tra il 2004 e il 2023 (2,5%).
Rendimenti inferiori a quelli realizzati dalle linee bilanciate di fondi negoziali e fondi aperti e dalle linee obbligazionarie miste dei fondi negoziali, compresi tra il 2,6% e il 3,1%. Un rendimento invece pari o poco più della metà di quello di qualunque delle tre forme di previdenza integrativa, che hanno reso tra il 3,9% e il 4,5%.
Numeri che rendono il Tfr attrattivo per chi non si sentisse di investire a medio o alto rischio, ma è davvero la scelta più conveniente?
Rendimenti e costi
Il rendimento del Tfr in azienda è più prevedibile, perché parte da un punto e mezzo percentuale fisso, più il 75% dell’inflazione: in termini assoluti non può mai essere negativo, come invece può accadere nei periodi di ribasso dei mercati. La gestione del Tfr in azienda non ha inoltre costi, differentemente da quanto accade in una qualunque forma di previdenza integrativa.
Fiscalità
Il vero punto, quello decisivo, riguarda però la tassazione: il Trattamento di fine rapporto viene tassato con aliquote IRPEF tra il 23% e il 43%, se conferito in un fondo pensione viene tassato invece tra il 9% e il 15% in funzione del numero di anni di iscrizione.
I fondi pensione, inoltre, consentono una maggiore flessibilità dei diversi casi di anticipazione (spese sanitarie e acquisto e ristrutturazione prima casa).
Calcolando questi tre fattori (rendimenti, costi e fiscalità), il Tfr in una forma di previdenza integrativa offre in media una maggior ricchezza attesa al tempo della pensione, soprattutto all’aumentare del numero di anni mancanti al ritiro e della linea scelta.