10 milioni di dipendenti attendono il rinnovo del contratto: un panorama che mostra la netta differenza tra pensionati e dipendenti.
La legge di bilancio del governo ha fissato l’aumento delle rivalutazioni pensionistiche al tasso del 7,3% portando il minimo Inps da 525,38 euro a 563,73 euro con un aumento di 38,35 euro mensili ovvero di 498 euro in un anno.
La rivalutazione al caro vita fissata per il 2023 ha infatti consentito ai pensionati di contenere la perdita del potere d’acquisto: è stata pensata una manovra in cui l’aumento è fisso per le pensioni d’importo fino a 4 volte il minimo, mentre, per quelle d’importo superiore, è prevista l’emanazione di un decreto che provvederà a differenziare l’adeguamento in rapporto all’entità della pensione.
Situazione completamente differente per i dipendenti, sia privati sia pubblici: era da circa vent’anni che il divario tra aumento dei salari e inflazione non raggiungeva questo livello.
I settori che maggiormente ne risentono solo quello della ristorazione, del turismo e del commercio che aspettano adeguamenti da almeno 4 anni: circa la metà dei 13 milioni di dipendenti è in attesa di rinnovo del contratto scaduto mentre chi ha firmato il rinnovo ha visto un aumento del solo 1,1%.
L’Istat infatti osserva che:
“Il divario tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni contrattuali è salito a 7,6 punti percentuali raggiungendo il valore più elevato dal 2001, primo anno di diffusione dell’indicatore dei prezzi armonizzato a livello europeo (in passato il valore massimo era stato raggiunto nel 2012 ed era pari a 1,8 punti percentuali)”
Qual è la situazione per i dipendenti pubblici?
La manovra ha rimandato a data da destinarsi il rinnovo dei contratti degli statali concedendo soltanto un bonus accessorio una tantum che prevede l’erogazione, nel 2023, di un emolumento da corrispondere in tredici mensilità in misura dell’1,5 % dello stipendio con effetti ai soli fini del trattamento di quiescenza.
Ne risulta un aumento che va da circa 30 euro fino ad arrivare ad un massimo di 135 euro; secondo alcuni calcoli della Uil le retribuzioni dei dipendenti pubblici sono bloccate: a partire dal 2008 i salari hanno perso circa 10 punti rispetto all’andamento del costo della vita.
Nell’arco di questi anni lo Stato ha risparmiato 13 miliardi per il blocco del turn over e per il mancato rinnovo contrattuale.
Da quanto emerge dalla trattativa tra sindacati e Aran sul contratto dei dirigenti e professionisti l’unico spiraglio di luce per ora si potrebbe aprire a favore dei dirigenti dell’area delle funzioni centrali della Pubblica Amministrazione, i cui stipendi saranno incrementati del 4% rispetto alla retribuzione del 2018.