Pressing alla Camera della maggioranza con l’obiettivo di aprire una nuova fase semestrale di “silenzio assenso” per il Tfr. La Commissione Bilancio è chiamata al voto su oltre 250 emendamenti “super-segnalati”, tra cui quello del presidente della commissione Lavoro Walter Rizzetto. Emendamento che ha l’obiettivo di rafforzare la previdenza complementare, in linea con quanto espresso dal ministro del Lavoro Calderone e alcune richieste della Lega.
Nel caso in cui dovesse arrivare l’ok di Montecitorio, il flusso delle liquidazioni indirizzato ai fondi pensione sarebbe destinato a subire un’immediata impennata.
Scenario previdenziale
Secondo la Covip, nel 2023 il sistema produttivo ha generato 31,3 miliardi derivanti da Tfr; di questi, solo 7,8 miliardi, pari a circa il 25%, sono stati versati a forme di previdenza integrativa.
Una quota in leggera crescita rispetto al 22,2% registrato a partire dal 2007, anno in cui sono entrate le regole attualmente in vigore.
Dati secondo molti insufficienti a irrobustire la cosiddetta “copertura previdenziale” degli under 35, prevalentemente con carriere discontinue. Da qui, il pressing per aprire un nuovo semestre di “silenzio assenso”, che, attenendoci all’emendamento Rizzetto, dovrebbero scattare il 1° gennaio 2025. Si tratterebbe di un intervento in continuità con la riforma della previdenza complementare introdotta nel 2007.
La riforma
La riforma prevede sostanzialmente il mantenimento del Tfr nelle imprese con meno di 50 dipendenti, con il “parcheggio” della “liquidazione” al fondo di Tesoreria nel caso in cui i dipendenti di aziende con più di 50 dipendenti non optino per la previdenza integrativa.
Ma anche la destinazione del Tfr maturando nella forma previdenziale collettiva nell’eventualità in cui, entro sei mesi dalla sua assunzione, il lavoratore non abbia effettuato alcuna scelta sulla propria liquidazione.
La riforma ha dato inoltre al lavoratore la possibilità di indirizzare il Trattamento di fine rapporto sulle complementari in “modalità esplicita”, ovvero versando il proprio Tfr a un fondo pensione o a un’altra forma integrativa, e destinando alla previdenza complementare, oltre al “maturando”, anche una quota di contribuzione aggiuntiva (a suo carico ed eventualmente anche del datore di lavoro).
Quota che è interamente deducibile dal reddito complessivo, fino alla soglia annua di 5,164 euro.
Nonostante ciò dal 2007, data della riforma, al 2023, più della metà del flusso di “liquidazioni” generate (438 miliardi in totale) è rimasto in azienda; il 22,5% è confluito al fondo di tesoreria, mentre solo il 22,2% ha preso la strada della previdenza complementare.
Dall’ultimo rapporto Covip emerge come lo scorso anno le forme complementari abbiano raccolto 19,2 miliardi di euro di contributi contro i 18,2 miliardi del 2022 (+5,2%). Di questi “versamenti”, quasi 8 miliardi hanno riguardato quote di Tfr, mentre lavoratori e datori di lavoro hanno fatto registrare contributi per 5 e 2,9 miliardi.